Varie
31, Jan 2018

Ma su quale tipo di conoscenza è bene investire?

Il Governatore della Banca d'Italia ha recentemente pronunciato un intervenuto, dal titolo "Investire in conoscenza", in occasione del 35° Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai su "Tradizione e innovazione in libreria", svoltosi a Venezia presso la Fondazione Cini. Come noto, la qualità del capitale umano è un tema molto caro al dott. Visco, che lo ha toccato in molte prolusioni, alcune delle quali trovate commentate anche in questo blog, ed al quale ha dedicato due libri.

Dopo aver esaminato l'importanza della narrazione (anche) per gli economisti, il dott. Visco esamina i principali fattori di cambiamento che hanno interessato il nostro Paese (progresso tecnologico, globalizzazione, Europa) e le aree di ritardo accumulate (produttività, caratteristiche del nostro sistema produttivo e della forza lavoro) corredate con alcune motivazioni di fondo e con alcune importanti osservazioni circa gli impatti che le tecnologie avranno sul mondo del lavoro e sulla disuguaglianza di reddito.

La quarta ed ultima parte dell'intervento è certamente la più ricca di stimoli e di spunti per coloro che si occupano professionalmente di gestione della conoscenza, in qualsiasi ambito, ed è quella sulla quale riflettere e meditare più attentamente. Oltre alle competenze umanistiche ed a quelle tecnico-scientifiche, la cui dicotomia deve essere considerata ormai ampiamente superata, il dott. Visco evidenzia che " ... accanto alle conoscenze tradizionali oggi occorre coltivare un nuovo insieme di competenze, che servano anche a far fronte a situazioni inedite, come l’esercizio del pensiero critico, la propensione alla risoluzione dei problemi, la capacità di comunicare in modo efficace, l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo, la creatività e l’attitudine positiva nei confronti dell’innovazione, competenze che corrispondono decisamente ai valori messi in luce da Phelps. Sono i cosiddetti soft skills che, assieme a un bagaglio culturale adeguato, sono oggi considerati cruciali per qualsiasi occupazione." 

Lo sviluppo delle competenze e, più in generale, della conoscenza è quindi un processo che interessa tutta la nostra vita. In un mondo digitale coloro che interrompono tale sviluppo, anche per poco tempo, sono destinati alla stasi ed all'emarginazione. 

Ma c'è un tema ulteriore sul quale invitiamo tutti (ed il dott. Visco, se lo desidera) ad una riflessione più approfondita. L'avvento del Web ha fatto emergere un nuovo tipo di cultura, che ha radici molto lontane (si legga, fra tutti, lo splendido libro di Fred Turner "From counterculture to cyberculture", University of Chicago Press) ma che spiega bene perchè USA e Corea del Sud, ad esempio, hanno conosciuto uno sviluppo formidabile della cultura digitale che da noi, invece, è stato quasi del tutto assente.

Il  Web è uno stile di vita, non un canale di distribuzione: esprime e soddisfa un fabbisogno di libertà e di azione del tutto incompreso da coloro che vivono soddisfatti nel loro piccolo mondo. E' questo tipo di impulso e di cultura che sono mancati in Italia, nelle persone, nelle imprese e, sopratutto, nelle istituzioni. In pochi in Italia hanno compreso (ed amato con passione) le opportunità vere che il Web offre (e che non sono l'acquisto di biglietti del cinema, di viaggi, di libri o di pornografia) ed in pochi sono riusciti a trasformare i soft skill di cui ha fatto cenno il dott. Visco in vere e proprie competenze digitali. Il Web è per coloro che amano rivoluzionare la propria vita ed il proprio lavoro, acquisire nuove conoscenza, comprendere come fanno altri nel mondo a realizzare e a fare, per coloro che sanno sfruttare una buona conoscenza delle lingue straniere per arricchirsi di stimoli e di nuove idee di lavoro. Il Webe non è qualcosa che si aggiunge, è una dimensione nuova della nostyra esistenza. Google non è Dio, ma lo strumento tramite il quale entrare in contatto. E' questa rivoluzione che è mancata in Italia, un Paese nel quale i soft skill sono stati utilizzati più per consolidare (e chiudere ai terzi) le proprie posizioni di privilegio piuttosto che per dare avvio a rivoluzioni e ad avventure verso nuovi mondi e nuove esperienze professionali.